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SanPa, tossicodipendenti e riflessioni psicoanalitiche

Orientati eccessivamente verso il piacere e il suo corrispettivo temporale, l’impazienza. In un mondo incapace di attendere, alla ricerca del “tutto e subito” hanno campo fertile le dipendenze. Nel 2019 i morti per droga, soltanto in Italia, sono stati 339. Il giro di affari ha raggiunto i 16 miliardi: cocaina, eroina e un mercato di 39 nuove sostanze psicotrope sintetiche sconosciute. L’Italia è prima in Europa per uso di cannabis tra gli studenti e quarta per frequenza di uso di cocaina nella popolazione generale.

Il nostro mondo, si diceva, è il mondo dell’impazienza, dello scacco del pensiero e della fantasia a favore di una valorizzazione della scarica immediata, del piacere subitaneo, ottenuta attraverso un predominio dell’attività sensoriale che assume un assoluto protagonismo su quella riflessiva e rappresentativa.

Lo ”sballo” è il termine usato per descrivere uno stato d’animo di un’immersione quasi totale nel presente, un’accentuazione potente della dimensione sensoriale percettiva e un senso di potenza e di imperturbabilità. Spesso lo sballo è sentito come un appuntamento con un momento di oblio e dimenticanza, come l’accesso ad un Eden atteso tutta la settimana. Il problema è che lo sballo si esaurisce rapidamente e costituisce spesso il tramite verso forme di tossicodipendenza più gravi e coinvolgenti.

SanPa: luci e tenebre di San Patrignano

In questi giorni l’uscita su Netflix della docu-serie SanPa: luci e tenebre di San Patrignano è stata l’occasione per riflettere su una storia che ha segnato un’epoca del nostro Paese riaccendendo il dibattito sulla complessità della gestione delle tossicodipendenze e del loro trattamento.

San Patrignano è la più grande comunità per il recupero di tossicodipendenti in Europa. Prende il nome dalla strada del comune di Coriano in provincia di Rimini dove ha sede. È stata fondata nel 1978 da Vincenzo Muccioli, figura carismatica e controversa per i metodi con cui ha attuato i suoi trattamenti di recupero. Ad oggi la comunità ospita più di mille tra ragazze e ragazzi, seguiti ed aiutati da educatori professionisti, con un sostegno psicologico e psichiatrico.
Il dato più interessante che, a differenza della politica del passato, oggi non vengono più accettati tossicodipendenti in astinenza, lasciando il compito ai Sert, con cui San Patrignano collabora attivamente. Oggi la maggior parte degli ospiti sono ex cocainomani, o comunque di poli-assuntori (cioè di persone che assumono sostanze diverse).

Cosa ha da dire la psicoanalisi sulle dipendenze

La terapia della tossicodipendenza non consiste e non si esaurisce nella disintossicazione, che lascia il tossicodipendente in preda al suo dolore ed alla sua angoscia esistenziale. Il tossicodipendente va accompagnato alla scoperta di se stesso, delle proprie emozioni, fantasie e vissuti, di cui non deve liberarsi ma imparare a riconoscerle ed esprimerle nelle relazioni. Il soggetto si troverà così a lottare contro l’influenza delle esperienze primarie e dell’ambiente micro e macrosociale che lo circonda.

Come afferma lo psichiatra e psicoanalista Antonello Correale, il percorso che lo psicoterapeuta deve compiere è quello che va dalla malattia alla sintomo, alla ricerca del soggetto nascosto sotto la malattia. Il sintomo consente una rilettura delle dinamiche inconsce e relazionali che hanno condotto il soggetto a perdersi dentro la malattia.

È fondamentale inoltre interrogarsi sugli aspetti sociali delle tossicodipendenze, sui fattori favorenti l’uso e l’abuso di sostanze, dell’influenza degli stili di vita della nostra epoca nel favorire personalità, assetti mentali, modi di stare con se stessi, che sono propizi all’uso e abuso di sostanze.

La sostanza presentifica un fantasma molto radicato nella mente umana e che potrebbe essere formulato con il desiderio di uscire dalla pesante compagnia di se stessi. Questa fantasia di uscire da se stessi induce, al tempo stesso, fascino e terrore, attrazione e repulsione e presentifica, in forme insostenibilmente troppo potenti, l’immagine della follia e della morte: l’uscita dalla propria mente e l’uscita dalla propria esistenza per trovarne un’altra migliore.

L’esperienza molto drammatica che si prova di fronte al tossicodipendente è quella di non avere più di fronte un individuo, una personalità coi suoi desideri, fantasie, difese, eccitamenti, dolori. Si può, anzi, provare molto intensamente la sensazione dolorosa e straniante, di non avere di fronte una storia, una vicenda dipanata nel tempo, con le sue premesse e le sue conseguenze, ma di avere di fronte un eterno presente, in cui tutto ruota intorno alla disponibilità o meno della sostanza, tanto necessaria e indispensabile.

La rappresentazione “tossicodipendente” ha distrutto tutte le altre. Sia agli occhi propri che a quelli dell’osservatore il tossicodipendente è ormai un tossicodipendente e basta come se questa fittizia ma potentissima identità fosse sufficiente a colmare e rendere inutile ogni domanda.

Nel documentario un intervistato, ex ospite della comunità, afferma: «L’illusione è che sia un problema che tocca il tuo corpo…quello che invece non accetti è che la droga è entrata nella tua anima; cioè ha cambiato la tua personalità». Per il tossicodipendente la droga è la vita, vuol dire che non basta disintossicarlo vuol dire costruire un mondo alternativo alla droga che lo interessi, che lo coinvolga che lo appassioni che piano piano gli faccia scoprire una dimensione dell’esistere diverso da quello che ha perseguito attraverso la droga .

Le riflessioni psicoanalitiche sulle dipendenze, a partire da Freud, sono state molteplici. Vi proponiamo alcune tra le più originali, che offrono uno spaccato teorico sulla complessità delle tossicomanie.

Da McDougall a Correale: riflessioni intorno alla dipendenze

Joyce McDougall, psicoanalista francese, si è occupata a lungo di tossicodipendenze. Insiste sull’utilizzo del termine tossicodipendenza (addiction) piuttosto che l’equivalente “tossicomania” perché dal punto di vista etimologico è più eloquente. “Tossicodipendenza” rimanda allo stato di schiavitù, dunque a una lotta impari del soggetto con una parte di se stesso, mentre la tossicomania indica un desiderio di avvelenamento. Ma la meta di chi è chiamato tossicomane non è avvelenarsi. La persona soggetta a tossicodipendenza, sia che sia bulimica, tabagica, farmacologica od oppiacea, non vive il suo oggetto come cattivo; al contrario, lo ricerca come depositario di tutto ciò che è “buono.” di tutto ciò che, nei casi estremi, dà senso alla vita.

La McDougall, ricollegandosi alle teorie di Donald Winnicott, sostiene che gli oggetti di tossicodipendenza rivestono il ruolo dell’ oggetto transizionale della prima infanzia quando cioè il bambino crea un oggetto (un peluche, una coperta etc) o un’attività dotati immaginariamente delle qualità o addirittura della magia della presenza materna. Quando riesce ad adempiere la sua missione, l’oggetto transizionale è un piccolo oggetto inanimato che incarna l’immagine della madre o, più esattamente, dell’ambiente materno naturale. L’oggetto o l’attività transizionale rappresentano per il bambino l’unione con la madre; lo aiutano quindi a sopportare affettivamente la sua assenza, proprio come la parola mamma gli permette, in un secondo tempo, di poter pensare a lei in sua assenza.

È una fase evolutiva che precede la capacità di essere solo senza perdere i riferimenti identificatori, senza essere sopraffatto dall’angoscia; precede anche la capacità di effettuare dei veri scambi con gli altri senza il timore di una nociva invasione dell’uno o dell’altro. Se questa fase non ha luogo, per situazioni traumatiche o conflittuali familiari, il bambino rischia di avere un solo rimedio: scindersi in due; una parte che si rinchiude nel proprio mondo interno, e l’altra che si rivolge verso il mondo esterno ma con un adattamento compiacente a ciò che viene richiesto dagli altri, del tutto staccato dalla realtà psichica intima. Ormai il soggetto rischia di viversi come “non del tutto reale”, incapace di comprendere il mondo, incapace di trattenere qualsiasi cosa, insomma come “vuoto”.

Una simile scissione apre la strada alla tossicodipendenza. Al posto dell’oggetto transizionale assente, l’Io può aggrapparsi a un oggetto transitorio, una droga o un altro utilizzato come droga. Questi sarà chiamato ad adempiere la funzione transizionale e sarà destinato a restituire al soggetto il sentimento di essere reale, vivo, valido: destinato insomma a colmare i vuoti dell’Io, vuoti di senso per quanto riguarda la sua identità e il modo di pensare il mondo

Eugenio Borgna nel suo lavoro “la tossicomania come esperienza psicoterapeutica”, riflettendo su esperienze di tossicomania correlate all’utilizzo endovenoso di oppiacei degli anni 60’ e 70’ ha sottolineato alcuni punti che sono risultati alla base delle successive riflessioni teoriche:

  • riconsiderazione della tossicomania come esperienza profondamente inerente la condizione umana, possibilità inscritta nel destino di ciascuno di noi;
  • tematizzazione del vuoto come nucleo centrale dell’esperienza tossicomane;
  • incontro con il tossicomane come possibile solo oltre il confine del ruolo professionale e dopo l’abbandono di ogni paradigma riduttivistico;
  • rinvenimento, nell’esperienza tossicomane, del tratto distintivo di un’epoca: la perdita di senso del mondo.

Antonello Correale si sofferma su un duplice significato relativo all’uso delle sostanze. Da una parte il desiderio di un ampliamento delle facoltà psichiche, la possibilità di attingere ad una conoscenza “altra” , trascendente la realtà, per rompere schemi di pensiero troppo abituali.
Dall’altra una funzione di evasione, uno strumento per disfarsi di se stessi e perdere il contatto con la faticosa percezione di un se stesso immutabile e sempre incombente, un’aspirazione a potenziare la parte immaginativa e fantastica, e ad accentuare i desideri, a costo di poterli soddisfare solo attraverso una dimensione allucinatoria.

Spesso l’appuntamento con la sostanza è vissuto con impazienza, alla fine di una giornata faticosa, come si attendono il sonno e i sogni che lo accompagnano.
In questa seconda accezione, si ricerca non l’ampliamento ma l’evasione, non tanto l’aspetto segreto delle cose, ma un potenziamento immaginario dei desideri o delle fantasie, un’ipertrofia del soggetto che va alla conquista del mondo, animato da un’energia che senza sostanza verrebbe a mancare. Uscire da se stessi, scordarsi del proprio essere, sentirsi attraversati da desideri che da un lato diventano più forti, dall’altra, per qualche ora, diventano realizzabili. Sembra questo il fine di un’attività che solo in parte si può considerare di fuga e che diventa invece molto più dimenticanza delle proprie difese e identificazione prevalente con una immagine idealizzata di se stessi.

La sostanza diventa protagonista

Ma quando la dipendenza si è instaurata, l’origine dell’uso delle sostanze, così importante per cogliere il valore e la ricorrenza nella storia di ciascuno uomo, viene lentamente a perdersi: non conta più perché la si assume, ma gradualmente, conta sempre di più il fatto stesso che la si assume. La sostanza lentamente diventa protagonista, conquista totalmente la vita del suo consumatore. Gradualmente la sostanza si impone, crea un suo mondo, un suo sistema di riferimento, un suo gruppo di appartenenza, addirittura un funzionamento fisiologico, neurologico, viscerale, muscolare a sua immagine e somiglianza.
Da sintomo di un disagio, di una contraddizione, di una mancanza, di una lotta diventa malattia, si autonomizza, si assolutizza e praticamente fa dimenticare le sue origini, per assumere una sorta di protagonismo indiscusso.

È fondamentale quindi che cure psichiatriche e cura della tossicodipendenza trovino forme di integrazione non concorrenziali e antagonistiche, per restituire alla tossicodipendenza il suo statuto di disturbo con profonde radici psichiche e non soltanto biochimiche.

Bibliografia essenziale:

“Il soggetto nascosto. Un approccio psicoanalitico alla clinica delle tossicodipendenze”. A cura di Antonello Correale, Francesca Cangiottti, Alessia Zoppi, edizioni Franco Angeli

Joyce McDougall “Teatri dell’Io. Illusione e verità sulla scena psicoanalitica”, Raffaello Cortina Editore.

Photo credit: IG @Paul Blow

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