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Il lato oscuro dei sentimenti: la depressione

Nelle vicissitudini d’amore, uno dei momenti più difficili è quello della separazione o proprio della perdita. Solitamente, il dolore piano piano lascia lo spazio ad una certa accettazione di ciò che è accaduto.

L’altro non se n’è andato del tutto, ha dato in custodia momenti e ricordi preziosi, pieni di calore, un modo di vivere più fecondo che solo nell’essere insieme è riuscito a nascere. Con il tempo, grazie a quella compagnia, si è finiti con il diventare più ricchi di possibilità vitali. Soprattutto, si fa strada la certezza consolante del bene che si è voluto. Nonostante lo strazio del congedo, sono questi pensieri che rendono, in qualche modo, sopportabile la resa all’assenza della persona che non c’è più.

Non sempre, però, le cose vanno così e ciò accade quando la perdita, è troppo precoce. 

Secondo Klein, per molto tempo il mondo del bambino non è popolato di persone, ma solo di momenti e cose per lui positivi o negativi. Il tentativo è quello di riconoscersi in ciò che è buono, rifiutando come estraneo ciò che è doloroso. Ad un certo punto, però, il bambino si rende conto che quella persona assente, maldestra, irritata e irritante, è la stessa che gli sorride e lo accarezza, rimettendo calore nel cuore. La scoperta, in qualche modo, è terribile per tante ragioni. Prima di tutto significa che l’altro è distinto e separato e può decidere di stare insieme oppure non farlo. Il bambino si rende conto che quella decisione dipende anche da lui, dal suo modo di mettersi in rapporto, dai sentimenti che trasmette. Mestamente comprende che aggressività e rabbia sono anche dentro di lui e possono allontanare gli altri, ferendoli nella delicatezza del loro sentire. Questo lo porta a temere di avere danneggiato irrimediabilmente l’altro oppure di poter essere abbandonato a causa del suo odio. La nuova responsabilità per i suoi sentimenti è impegnativa, anche perché non poggia su una sufficiente fiducia nelle sue capacità di riparazione come non fa riferimento ad una sperimentata benevolenza e tolleranza dell’altro.

L’angoscia spinge il bambino a verificare all’esterno lo stato delle cose e, quando si accorge che la madre ancora esiste, che è sempre disponibile e affettuosa con lui, riesce a confortare un poco le sue peggiori paure. La positività della verifica fa aumentare la fiducia in sé e negli altri dacché si sente capace di controllare gli impulsi ostili; parallelamente, si accorge che i suoi interlocutori sono in grado di esercitare una certa tolleranza. Nella delicatezza della situazione, può fare esperienza di avere efficaci capacità in ordine alla relazione. Non tutto ciò che è di valore è appannaggio dall’altro, anche lui possiede qualcosa che gli consente di funzionare in una maniera non distruttiva. È in questo momento che la separazione può essere vissuta non come evento annientante, bensì come tristezza per una perdita che lascia, però, il ricordo di un vitale e strutturante scambio affettivo.

Il problema, come dicevamo, nasce in ordine ad una separazione che avviene prima del termine di questo processo. La perdita, allora, non è tollerabile. L’altro, andandosene, porta con sé tutto ciò che di più prezioso il soggetto possiede, anche l’amore che fa nascere e restano solo rovine. Dice Sylvia Plath: “Io che per due anni e mezzo ero stata il centro degli affetti, sentivo che l’asse si spostava e che un freddo polare paralizzava le mie ossa”. Nella separazione precoce non è solo l’altro ad andarsene, è la vita stessa, il suo calore, la sua musica. “Piena di rancore come un triste riccio di mare arrancavo chiusa in me stessa verso l’orrenda prigione”.

Le circostanze fanno sì che il bambino abbia la tragica conferma di avere davvero leso l’altro in modo insanabile. Ancora una poetessa, Anne Sexton, ci parla dei sentimenti del momento: “Angeli brutti mia hanno parlato. La colpa, dicevano, era mia. Facevano gli spioni, versando nella testa la rovina come un rubinetto rotto”.

A causa dell’offesa, l’altro si allontana, rifiuta la comune compagnia. Il suo non esserci più è intenzionale, è un non voler esserci in ordine a una delusione sofferta.L’altro si porta via anche l’amore che suscita e quello che resta sono misere rovine: freddo polare, solitudine, disadorna prigionia e rabbia. Per non perdere tutto ciò che si possiede, si precipita in una condizione paradossale: mantenere in vita ad ogni costo proprio chi procura dolore. Per non diventare “ferro corroso dalla pietra”, insensibilmente, senza consapevolezza, chi ha patito l’abbandono copia in sé i modi di sentire, il carattere, le inclinazioni di chi si è fatto irraggiungibile. Diventare l’altro è l’unico modo per non perderlo.

In questa mastodontica opera di incorporazione, si fanno propri anche gli aspetti meno nobili e odiati nell’altro, quei comportamenti spregevoli che avviliscono chi li assume in sé. L’altro è stato anche un traditore che, per viltà, ha abbandonato la partita, un essere meschino che ha tenuto conto solo della sua convenienza. Nell’interiorità, finisce per signoreggiare questa divinità della diserzione che obbedisce alla legge del rifiuto e della desolazione.

Per questo, il melanconico si sente privo di valore, diseredato, spogliato di tutto sino all’inesistenza. Si frantuma in stati emotivi disorganizzati che non riescono a confluire in una forma stabile. Questa volta è Fernando Pessoa che racconta questa condizione: “Sento che niente sono se non l’ombra di un volto imperscrutabile nell’ombra: e per assenza esisto, come il vuoto.”

Tenere in vita chi ha inferto la ferita, però, impedisce di riconoscere la perdita. Quella che sembra una mancanza oceanica, radicale, senza appello, è, in realtà, il modo per trattenere chi altrimenti svanirebbe. Mettere nel sangue l’essenza dell’altro: più di così non potresti essere vicino. E se non c’è vuoto, non possono nemmeno esserci le parole che quel vuoto nominano, prendendo il posto di chi non c’è più. Per questo, nella melanconia, la perdita non è simbolizzabile, la si può solo vivere interminabilmente.

Il riconoscimento della mancanza condurrebbe a conseguenze inaffrontabili. Bisognerebbe nominare il dolore del rifiuto, ma è proprio questo evento ad essere massimamente motivo di disvalore. Come ci si può abbassare a soffrire per chi non ci vuole? Quel sentimento è la cifra di una vergogna inammissibile.

Tutte le parole che non possono essere dette vengono inghiottite e l’altro che è sul punto di andarsene viene assunto in sé, custodito in una parte della propria interiorità, sorta di tomba segreta che contiene e preserva dalla sciagura della separazione. In modo da trovarlo sempre, l’altro, se pure gelido di affetto.

Si crea una sorta di mondo nascosto in cui condurre una vita separata, ferita aperta che aspira ogni energia e ogni emozione. Mettere in scena la tristezza rispetto all’oggetto che ha perduto il sé diventa l’unico modo per stargli ancora accanto e per rivivere, in questa straziante vicinanza, il bene che c’è stato.

Ma, proprio per questo bene, è possibile che, nel corso del tempo, ci sia il soccorso di altri legami. In fondo, l’amore vissuto prima del rifiuto ha mantenuto la speranza nella possibilità di uno stare insieme non gravato da eccessiva ambivalenza, creativo e generativo di vita. Un legame in cui completare quella crescita che è rimasta a metà per poter finalmente accettare di essere separati, conservando l’affetto reciproco.

(Mia Madre) Al lato sud il suo sorriso al suo posto è fissato,

le guance vizze come orchidee appassite;

mio specchio beffardo, mio amore spodestato,

mia immagine prima.

Mi occhieggia dal ritratto quella testa di morte impietrita. […]

Avevo bisogno di un’altra vita, di un’altra immagine per ricordarmi.

[…] Ti ho cercato per trovarmi.

da La doppia immagine, Anne Sexton

Dice André Green:

“Inevitabilmente un giorno la madre priva di vita dovrà morire perché un’altra persona possa essere amata. Ma questa morte dovrà essere lenta e dolce, affinché il ricordo del suo amore non si distrugga e possa nutrire l’amore che, generosamente, sarà offerto a quella/quello che prenderà il suo posto.”

André Green, Narcisismo di vita, narcisismo di morte.

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